La Seconda guerra mondiale costituisce una cesura nella storia delle ricezioni del mito di Antigone: l’esperienza del totalitarismo e della Resistenza condiziona in maniera determinante la lettura della tragedia di Sofocle. Eppure c’è un salto cronologico tra l’Antigone di Brecht (1948) e la ricomparsa del mito di Antigone nel teatro e nella letteratura dei primi anni Sessanta. Dopo il 1945, infatti, seguì una bleierne Zeit, un’età di piombo, la cui parola d’ordine fu: dimenticare. L’oblio divenne alibi e conforto insieme. Solo a fatica, a partire dal processo Eichmann (1961), si cominciò davvero a disseppellire il passato, e ne scaturì un tremendo conflittosociale. Sul finire degli anni Sessanta, i figli accusarono i padri di aver consapevolmente taciuto l’orrore e di perpetuare nello Stato capitalista gli stessi meccanismi politici e repressivi della tirannia fascista. Alcuni ingaggiarono contro lo Stato democratico, durante i nuovi ‘anni di piombo’, una lotta a mano armata. I mezzi di comunicazione amplificarono le immagini di corpi insanguinati sull’asfalto, fotografati con una stella a cinque punte sullo sfondo, umiliati nelle ultime ore, cadaveri abbandonati come manichini rotti nel cofano di automobili. In quella nuova guerra, tornava d’attualità il diritto dei morti. Tornava Antigone, nell’ineditoe non antico ruolo della ribelle omicida.Il libro traccia la storia delle ricezioni letterarie di Antigone dal 1945 ai primi anni ’80, in un’Europa prima ridotta in macerie e poi straziata in blocchi ideologici, attraverso testi e autori più noti (Anhouil, Brecht, Döblin, Jens, Böll) e altri decisamente meno conosciuti (Langgässer, Hubalek, Hochhuth, Karvaš, Delbo, Weil).
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