[...] Nelle riflessioni di Bernhard, come in quelle di Bloch, l'esilità del traciato di confine tra opera ed esistenza contribuisce a determinare profondamente lo statuto stesso della immagine e dello sguardo che la contempla. Di fronte a un'arte che è divenuta terreno incerto, l'occhio dello spettatore non può che muoversi in costante bilico, sull'orlo del precipizio, sulla linea di demarcazione tra il mondo irredento e quel regno outopico che la rappresentazione artistica rivela. Ciò che emerge da entrambe le letture è la consapevolezza della necessità di calarsi nelle crepe e negli abissi della realtà. In fondo questo è uno degli insegnamenti fondamentali di Bloch: è nelle buche e nelle lacune che costellano il terreno dell'esistenza che si annida il possibile sognato. Il confine (lo Zwischenraum) incollocabile, tra vita e arte, deve essere affrontato in tutta la sua problematicità funambolesca, e non tolto per mezzo della creazione di un universo fittizio. La relazione pendolare restituisce il senso della cornice mobile, come consapevolezza della impossibilità di tracciare una fisionomia nitida e definitiva del reale. Sia nella prospettiva di Bemhard sia in quella di Bloch l'immagine che tiene prigionieria l'umanita e l'idea della forma formata, una soluzione definiva posticcia e inautentica. La necessaria contromossa consiste allora nell'affidarsi a uno sguardo inquieto, perché consapevole di un'alterità che sempre sfugge.
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